di Mattia Massaro e Tancredi Castelli
A volte capita che per comprendere un fenomeno di grande portata serva ridurre la scala di osservazione o fare lo sforzo di guardarne un solo lato del suo grande volume. Oggi, alle porte del Primo Maggio, vogliamo quindi provare a capire che cosa ci possono dire i dati relativi alla sicurezza sul posto di lavoro sul sistema produttivo della nostra regione (e del nostro paese).
Prima di cominciare la compilazione e l’analisi è bene segnalare alcune differenziazioni, sebbene intuitive. Se è facile comprendere cosa si intenda per infortunio mortale, utile è tenere a mente la distinzione tra infortunio sul lavoro e malattia professionale. Da un lato, troviamo un lavoratore o una lavoratrice a cui cade un mattone sul piede; dall’altro, scopriamo un operatore o un’operatrice che, a causa di un ambiente di lavoro non sicuro, sviluppa (nel tempo) alcune patologie legate, per esempio, alla muscolatura, all’udito o al sistema nervoso.
Il primo aspetto da considerare è che il Veneto non presenta devianze significative rispetto alle medie nazionali riguardanti il tema; al contrario, si potrebbe ipotizzare che la nostra regione possa rivelarsi un campione particolarmente adatto per riflettere sul quadro complessivo della nazione intera.
Guardando poi direttamente alla regione, possiamo notare come la sua economia sembra basarsi prevalemente sull’industria e i servizi: le denunce di infortunio sul lavoro sono per la maggior parte legate a questo settore, così come i casi di infortunio mortale. Inoltre, il confronto con il lavoro agricolo e quello “per conto dello stato” dimostra, da un lato, che la veste bucolica del Veneto sia solo apparente, dall’altro, che il sistema produttivo sia incentrato quasi totalmente su aziende private, erogatrici di servizi o prodotti industriali, la cui ampiezza è coerente alla sempre celebre definizione di “piccola-media-impresa”.

Osservando la distribuzione percentuale relativa agli infortuni sul lavoro è possibile confermare ulteriormente tale tesi. Nonostante l’intero settore manifatturiero costituisca la fetta più ampia, al suo interno troviamo in realtà ventitré sotto-categorie, di cui la maggiore è quella relativa alla fabbricazione di prodotti in metallo (7,28%); le altre riportano percentuali molto minori o completamente marginali. Il settore più a rischio è invece quello delle costruzioni, segue poi il commercio all’ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli, il trasporto e il magazzinaggio. Restano alti anche i valori legati alla ristorazione e al noleggio (attorno al 4% entrambi).

A stupire è il caso della sanità e dell’assistenza sociale. È infatti l’unica fetta di torta la cui ampiezza è cambiata molto nel corso degli ultimi anni, raggiungendo picchi del 30% nel 2020 e del 23,9% nel 2022, ovvero in occasioni delle famose “ondate” di Covid19. Tuttavia, è interessante registrare che questo resti comunque il secondo settore con più infortuni nel 2023 (8,73%). Inoltre, sebbene i soggetti più colpiti sembrino essere quasi sempre maschi, dal momento che rappresentano la prevalenza della manodopera coinvolta nei lavori più a rischio, quest’ultimo settore dimostra una pericolosità maggiore per le lavoratrici in relazione agli altri.

Provando a ragionare in ottica geografica è possibile notare come le province maggiormente colpite da sinistri sul luogo di lavoro siano Verona, Vicenza, Padova; Venezia e Treviso subito dopo; mentre il bellunese e il rodigino risultano staccate di molto. In particolare, in relazione a infortuni e morti sul lavoro è Verona a trovarsi al primo posto; mentre per quanto riguarda le malattie professionali è la provincia di Padova ad avere il primato. Questi dati confermano l’apparenza: il settore produttivo Veneto poggia sulle grandi città collegate dall’autostrada A4 (dati confermati anche in relazione al PIL annuale prodotto in Veneto).

Questa lunga e forse noiosa carrellata di informazioni ci ha fornito una fotografia coerente e attesa del Veneto e, così facendo, ci ha permesso in parte di validare la tesi iniziale: parlare di sicurezza sul lavoro permette di avere un quadro sul settore produttivo preso in esame. Ora le cose si fanno interessanti, perché osservando i nostri dati diacronicamente, anno per anno, possiamo identificare alcune linee di tendenza su cui poter ragionare.
Partiamo con l’inaspettato, gli incidenti mortali e non sul luogo di lavoro sono generalmente in diminuzione. Considerando come eccezioni i dati relativi al 2020 e al 2022 (Covid19), tra il 2019 e il 2023 è possibile notare una costante diminuzione sia degli infortuni (-11,66%), sia delle morti (-0,92%). Lo scarto relativo agli infortuni mortali può sembrare risibile, ma se considerassimo il gap tra il 2022 e il 2023 è possibile notare una diminuzione del -15,38%. In sintesi, si può osservare una diminuzione del trend o al limite un suo andamento non peggiorativo.

Tuttavia, tendono generalmente ad aumentare gli infortuni in itinere, ovvero lungo il tragitto casa-lavoro. L’aumento è costante dal 2020 in poi e ciò è spiegabile con una dismissione del sistema dello smart working e un ritorno al lavoro in loco. Questa osservazione implica inoltre una possibile carenza per quanto riguarda la progettualità oraria del lavoro, ovvero la difficoltà, superata l’emergenza pandemica, nella gestione di orari flessibili. Seguendo il trend e le ipotesi interpretative, è comunque ipotizzabile un aumento anche per le annualità future a causa di un ricorso sempre maggiore all’auto privata, sintomo anche di una non coincidenza tra luogo lavorativo e luogo domestico.

Ad aumentare, invece, sono le denunce di malattia professionale. I 4630 casi del 2023 mostrano un aumento, sia osservando anno per anno dal 2020, sia in correlazione con il 2019, arrivando a una quota del +140% (la media nazionale nello stesso periodo è del +118.6). Questi dati forniscono un’ulteriore informazione degna di nota: a partire dal 2023 si assiste a una netta diminuzione del riconoscimento di tali malattie (-11%). Infatti, per tutto il triennio 2019-2022, circa il 60% delle richieste ha ricevuto un esito positivo; lo stesso dato, nel 2023, nonostante l’aumento, si ferma al 48,57%.

La fetta più grande del totale riguarda le malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo: tutto ciò che riguarda i muscoli e le ossa e che solitamente è riconducibile a lavori pesanti (ricordiamo le costruzioni come settore maggiormente colpito dagli infortuni). I 3622 casi del 2023 corrispondono a 78,23% del totale e definiscono un aumento graduale a partire dal primo anno preso in considerazione, il 2019 (2333 denunce). Il secondo posto per incidenza, sebbene non presenti variazioni di lungo periodo, spetta alle malattie legate al sistema nervoso, le quali sono spesso dovute a lavori fisicamente ripetitivi, a cattive posture, alle vibrazioni dei macchinari, ma anche a sostanze neurotossiche e allo stress. Seguono i casi di malattie dell’orecchio, sebbene in generale diminuzione. Stupisce, tuttavia, che l’incidenza sul totale dei tumori sia gradualmente in aumento, arrivando al 3% del totale nel 2023.

Diversi fattori possono spiegare questa crescita. Sicuramente si è assistito a un aggiornamento delle tabelle per le malattie indennizzabili (ICD-10), ma di maggiore interesse sono i fattori strutturali legati a queste linee di tendenza: prevenzione e demografia. In generale, le malattie professionali tendono ad avere un’incidenza maggiore all’interno dei posti di lavoro in cui i sistemi preventivi sono meno curati, laddove, cioè, il lavoratore pur non commettendo alcun errore tende a danneggiare il proprio fisico perché è l’ambiente stesso a non essere adeguato. Una possibile interpretazione dei dati potrebbe essere quindi questa: da un lato, all’interno dei settori maggiormente a rischio (costruzioni, logistica, metalmeccanico) le condizioni e i ritmi di lavoro non hanno visto un significativo miglioramento; dall’altro, il ricorso ad appalti e subappalti (e la generale precarizzazione del lavoratore) può comportare una riduzione della prevenzione sul luogo di lavoro.
Un’altra possibile causa dipende dal fatto che la forza lavoro in Veneto, ma anche in Italia, è sempre più anziana. Le malattie croniche appena accennate hanno un impatto molto maggiore su un corpo avanti con l’età, soprattutto se questo è stato per tanto tempo esposto a determinati fattori di rischio (portare pesi, lavori ripetitivi…). I lavoratori e le lavoratrici più colpiti da sinistri appartengono infatti alle fasce di età tra i 45 e i 59 anni, una fetta corrispondente a circa il 44% del totale.

In relazione a eventi mortali, l’età aumenta ulteriormente: le fasce di età più colpite sono tra i 50 e i 64 anni, ovvero il 49% dei casi. Possiamo anche riprendere il discorso sulla distribuzione geografica; Verona si trova al primo posto sia per infortuni generici, sia per quelli mortali, ma ragionando sulle malattie professionali è Padova ad avere il primato (26,6%): tutto nella norma se si considera che la provincia padovana è la seconda (dopo Belluno) per età media maggiore (censimento Istat 2022), mentre il territorio veronese è penultimo all’interno dello stesso indice.

Attraverso i dati abbiamo provato a ricostruire delle linee di tendenza che all’apparenza non sembrano essere tragiche. Forse dei miglioramenti ci sono stati, forse qualcosa cambierà, ma fermandoci a pensare, dimenticando per un attimo le infinite liste di tabelle dell’Inail: il numero annuale di infortuni e morti sul lavoro resta sempre altissimo. Nel 2023, ogni giorno 192 lavoratori hanno subito un infortunio; ogni 3 giorni un lavoratore è morto per il proprio salario.
Il Veneto ci parla di noi, ma ci parla anche dell’Italia, un paese dove manca da anni una progettualità produttiva reale e di lunga durata, dove si celebrano le piccole e medio imprese che, dagli anni ‘80, da quando hanno raccolto il peso industriale di un economia confusa, anno dopo anno, sono sempre più in crisi, dove le reti di appalti e subappalti precarizzano i lavoratori e trasformano i luoghi di lavoro in trappole mortali, dove la popolazione continua a invecchiare e non si riesce ragionare con lucidità sul futuro. La famosa eccezionalità del Veneto è in fin dei conti l’Italia, un paese in cui a sostenere il peso di tutti i tagli, degli aumenti del costo della vita, della diminuzione del welfare e della sicurezza lavorativa e, chissà, forse della guerra, sono sempre e soltanto i lavoratori e le lavoratrici.
I dati sono stati recuperati dal censimento INAIL (data di aggiornamento: 30 aprile 2024).